Descrizione Cult Movie...

Cult movie è un termineinglese utilizzato per indicare un film che, spesso al di là dei mezzi economiciimpiegati per produrlo e malgrado il suo successo o insuccesso commerciale,finisce per diventare col tempo un oggetto di culto per l'insieme deglispettatori o, più spesso, per una determinata cerchia di affezionati.I "cultmovie" possono appartenere a qualsiasi genere cinematografico. Spesso si trattadi pellicole a basso costo, nate con scopi esclusivamente commerciali: i filmdell'orrore, i film di fantascienza e i film appartenenti al filoneexploitation sono tipici esempi di cultmoviegenerazionali. . . . . . . . . .

12/11/07

Rece: terza madre

Nel cimitero di Viterbo viene casualmente ritrovata una vecchia tomba con all’interno un’inquietate urna adornata di simboli esoterici. Spedita al Museo di Arte Antica di Roma, la reliquia viene aperta dalla vicedirettrice e da Sarah Mandy (Asia Argento), giovane studiosa di restauro. All’interno alcuni inquietanti oggetti appartenenti a Mater Lacrimarum (Moran Atias), la Terza Madre, l’unica sopravvissuta delle Tre Madri, terrificanti streghe che dalla notte dei tempi spargono terrore e morte per il mondo. Da quel momento una forza malvagia si libererà in tutta la capitale, orde di streghe invaderanno le strade mentre i cittadini, impossessati dal male, si macchieranno di ogni tipo di crimini ed efferatezze. Sarah, oramai consapevole di essere coinvolta in questa storia anche a causa di sua madre Elisa, una strega bianca uccisa dalla prima delle tre madri anni prima, decide di affrontare il pericolo combattendo l’orda malvagia.

E’ bene chiarire subito un punto cruciale: chi si aspetta di rivedere ne La Terza Madre una stretta parentela (anche geneaologica, in questo caso) con le sue illustri “sorelle” classe ’77 e ’80, rimarrà dolorosamente deluso. Questo è un film diverso, nel bene e nel male...o forse solo nel male. Diverso innanzitutto per i non pochi anni di distanza che lo separano dai suoi illustri predecessori; diverso per una oramai più che palese metamorfosi stilistica del cineasta romano verso lidi sintattici molto più diretti e immediati, sicuramente più fruibili alla massa, ma altrettanto più banali per gli appassionati. Schivando - o eufemisticamente parlando, “sfiorando” - tutto il massivo carico di talentuosa progettualità visiva che ha contraddistinto Suspiria e Inferno, tutti i fasti barocchi, le sinistre penombre e gli squarci onirici presenti in questi due capolavori, Argento tende qui a sublimare il tutto in un lineare razionalismo, incorniciato da un costante fil rouge sovrannaturale spesso stridente e ridondante.
Complice di tutto ciò, innanzitutto, l’eccessivo rimaneggiamento dello script a cui hanno lavorato oltre lo stesso Argento, anche il duo Anderson-Gierasch, già co-autori di due degli ultimi altalenanti lavori di un certo Tobe Hooper, illustre collega d’oltreoceano del romano. A questo team si sono aggiunti anche il nostro Walter Fasano e Simona Simonetti, sorella di Claudio, tanto per rimescolare ulteriormente le carte in tavola. Tutta questa commistione di approcci e punti di vista ha prodotto una sceneggiatura eccessivamente elaborata, tanto da risultare spesso appesantita da sequenze ridondanti, manierismi e dialoghi rigidi e artefatti (ma a questi ultimi abbiamo oramai fatto il callo). Se però nei precedenti capitoli della trilogia la parola si faceva incantevolmente suono, spesso decontestualizzata dal realismo, a puro supporto di una visione incubo-fiabesca, qui dove gli intenti sono volutamente realistici, il tutto risulta solo (s)correre come un carro dalle ruote quadrate. A questa già non esaltante premessa si aggiunge una recitazione spesso deludente da parte del cast, dove spicca un’Asia Argento in gran spolvero di tutte le sue doti recitative, non certo numerose, ma stavolta anche piuttosto appannate. Il personaggio interpretato da sua madre Daria Nicolodi (madre anche nella finzione scenica), risulta spesso fastidioso nei suoi modi da “Gran Maestra Jedi”, scialbo nella seppur vaga intenzione di destare emozioni, decisamente imbarazzante nei dialoghi. Ci troviamo anche qui molto lontani da quelle straordinarie e lunari performance degli anni d’oro della collaborazione con l’ex-marito.

Una ricerca dello shock e del disgusto tanto genuina quanto premeditata, danno alla pellicola un’aria di horror del terzo millennio con un costante strizzare l’occhio alle masse, un voler a tutti i costi semplificare, linearizzare, appiattire tutto quanto di buono c’era nel glorioso passato registico del romano. Le geniali intuizioni, i superbi squarci di talento visivo e scenografico sembrano qui aver lasciato tristemente spazio agli spaventi (pochi), l’erotismo (fuori luogo) e il CGI (di mediocre qualità). Il tutto a cercare di riempire con mestiere e con buoni effetti di make-up (curati da Sergio Stivaletti) la basilare lacuna lasciata da un'idea efficace di concept che, decisamente, qui non c’è. Meglio sorvolare sulla rappresentazione di questo stregonesco giubileo invasore della città eterna, di cui erano così alte le aspettative dei fan: trattasi più che altro di un gruppo di fotomodelle truccate in stile pop-punk anni ’80, che si dimenano e dispensano boccacce tra aeroporto e Stazione Termini, con macchine della polizia e computer portatili in bella vista per tutta la durata del film.

E’ davvero tutto sbagliato in quest’ultima fatica argentiana? No. In una costante e suggestiva altalena tra sacro e profano, classico e moderno, La Terza Madre racchiude in se un’aura di terrore quasi letterario, con l’incipit in un cimitero, luogo canonico del fantastico, dominio della morte che aveva concluso il capitolo di Inferno. Altro elemento archetipale, seppur alquanto scontato, sta proprio nell’azione svolta sulla terribile urna, sorta di dischiuso “vaso di Pandora“, mentre affreschi e dipinti rinascimentali danno il loro modesto ma efficace contributo. Il tutto, sembrerebbe strano affermarlo a questo punto, risulta in qualche modo avvincente nel suo complesso, catturando lo sguardo e l’attenzione nelle peripezie di un'impacciata Sarah in una Roma ben (seppur poco) fotografata. Argento, in quest’occasione, si prende addirittura la libertà di rappresentare i suoi stessi concittadini come una popolazione impazzita, con alcune scene di follia e violenza di massa alla stregua di illustri colleghi-amici come Romero e Carpenter.

Salta all’occhio un insistente auto-referenziazionalismo nella splendida e agghiacciante coreografizzazione dell’omicidio, con la brava Coralina Cataldi-Tassoni protagonista di una delle più cruente morti della filmografia argentiana. Una dose massiccia di splatter permea la pellicola, con Sarah costretta ad un tuffo nel liquame cadaverico, proprio come l’algida Jennifer di Phenomena, non prima di aver ricevuto anche lei un passaggio dal terzo tassista-Caronte della triade argentiana. Un montaggio serrato e percussivo riesce a tenere abbastanza alte le dinamiche narrative, in quello che risulta essere sicuramente il capitolo più action della trilogia.
Torna la figura dell’alchimista, custode del temuto libro delle Tre Madri, stavolta affidata ad un sinistro Philippe Leroy. Ma tutto il pathos di una figura così fortemente legata all’occulto, magnificamente sviluppata in Inferno, risulta qui vilipesa da dubbie battute nello script, come: -«Noi alchimisti siamo custodi di un sapere antico, ma guardiamo anche i telegiornali…»-. Quasi a voler ancor più avvalorare i fin troppo evidenti intenti di ammodernamento, nel consueto stile di scrittura meccanico e stucchevole che purtroppo affligge l’ultimo ventennio argentiano. La stessa Mater Lacrimarum, nella sua indiscussa bellezza, manca di personalità visionaria, di una vera identità. C’è solo molto erotismo di brassiana memoria in questa terza sorella, sempre seminuda in scena, con un vacuo indugiare su procaci dettagli anatomici. Fanno addirittura capolino alcune figure sacerdotali, evento eccezionale nella filmografia del regista: ma il bravissimo Udo Kier, nei panni di Padre Johannes, meritava forse qualche inquadratura in più, anche solo per il suo celebre, magnetico sguardo.

Sull’onda della discontinuità di efficacia, anche la fotografia non poteva certo rimanere immune, in un continuo cambio di direzioni spaziali, tra interni piatti e televisivi ed esterni assolati, abbacinanti e documentaristici. Nulla di paragonabile agli strabilianti colori, ai dècor kitch e alle oscurità claustrofobiche dei precedenti capitoli. Ma soprattutto nel finale, risultano sublimi le citazioni colte e le scelte fotografiche: in primis l’entrata di Sarah nella dimora di Mater Lacrimarum, così come il disgustoso sabba stregonesco al suo interno, con una resa pittorica dell’inquadratura che sembra citare affettuosamente l’ipnotico finale di La Nona Porta di Polanski. Di pregevolissima fattura anche il lungo piano sequenza che accompagna la nostra eroina nelle segrete della vecchia magione, realizzato in steady-cam, altamente evocativo ed ipnotico.
Persino nelle musiche, così oscure e solenni, si percepisce l’impegno, la pregevolezza e l’eleganza formale di Claudio Simonetti, con una vaga influenza dell’Ave Satani di Jerry Goldsmith, nei titoli di testa. Il tutto senza però mai lasciare quel segno indelebile che aveva così fortemente impressionato in Suspiria, e rimanendo comunque ad una certa distanza dal classicismo barocco di quell’ispiratissimo Keith Emerson di Inferno.
Sprazzi, frammenti, tentativi solo parzialmente riusciti. Macchie di leopardo, sostanzialmente…

La Terza Madre, nel suo essere un evidente passo avanti nei confronti della fin troppo lunga stasi creativa di Argento, manca probabilmente proprio di quella genuina scintilla ispiratrice che aveva così tanto infiammato il cuore e l’immaginario di due decadi di appassionati di cinema.
E’ Argento vivo? Più vivo degli ultimi quindici anni. Ma sicuramente, non del tutto risorto.

14/10/07

rece: THE DESCENT

Sei amiche per la pelle...o almeno così sembrano! Un terribile incidente da dimenticare. Un segreto inconfessabile. Un tranquillo weekend di paura...nelle profondità della terra.
Un gruppo di giovani speleologhe nel tentativo di far superare a Sarah (Shauna Macdonald) il trauma della morte del marito e del figlio, decidono di immergersi nelle viscere della terra. Ma quella che apparentemente doveva essere una tranquilla scampagnata, si rivelerà ben presto una battuta di caccia tra predatori e prede, un viaggio all’inferno abitato da demoni assetati di sangue.
Il regista e sceneggiatore Neil Marshall, autore di un piccolo cult movie come Dog Soldiers, costruisce un emoglobinico horror tutto al femminile incentrato su di un gruppo di persone assediate da una presenza minacciosa. Il tema non è nuovissimo, lo stesso classico del cinema western Ombre Rosse di John Ford era basato sul medesimo assunto, per tralasciare l’immensa letteratura che ingolfa altri generi cinematografici a partire dalla fantascienza (Pitch Black, ne è un ottimo e recente esempio).



Ma il regista inglese riesce a creare in tutta la prima parte dell’opera un’atmosfera di sottile inquietudine, un senso di ineluttabile tragedia sfruttando un ambiente poco frequentato dal genere, le caverne, un ambiente buio per eccellenza, e sappiamo bene come questo sia un elemento imprescindibile del meccanismo emozionale legato alla paura. Un luogo claustrofobico di suo, accentuato da una regia che schiaccia i personaggi con intensissimi primi piani che tolgono l’aria e rendono affannoso il respiro come sullo schermo così in platea. Un interessante lavoro preparatorio alla scesa in campo della minaccia che si annida tra gli interstizi naturali delle viscere dei Monti Appalachi (ricostruiti per l'occasione negli studi inglesi di Pinewood): le creature che vi abitano si sono adattate, nell'arco di migliaia di anni, a vivere nella più completa oscurità e, sebbene siano totalmente ciechi, il loro eccezionale udito e odorato uniti ad un'incredibile agilità li rende i padroni incontrastati di quegli oscuri cunicoli. Queste loro caratteristiche, a cui fanno da contraltare la difficoltà dei movimenti delle ragazze in spazi così angusti, umidi e scivolosi, rappresenta uno spunto narrativo di grande efficacia per generare "balzi sulle poltrone".


Un altro elemento di grande interesse è il duplice campo di battaglia che si apre sotto i nostri occhi. Un fronte costituito dalla lotta tra creature ed esseri umani, ed un secondo assai più interessante che si apre tra le sei ragazze. Una lotta per la sopravvivenza che erode lentamente le piccole e grandi certezze su cui si fonda il gruppo amicale, una lotta che è nello stesso tempo una discesa all’interno della follia umana e dei suoi più feroci istinti. La scelta di un gruppo composto da sole donne accentua queste tematiche (le donne sanno essere assai più perfide e meno disposte al perdono degli uomini) e rende l’evoluzione degli eventi meno prevedibile. Il finale è un festival dello splatter, con arti mozzati, teste divelte, sangue a fiotti che vanno a sporcare l’obiettivo della macchina da presa ed una conclusione che lascia un’inquietudine profonda difficile da dimenticare. Brave le sei protagoniste, tra cui spiccano Shauna Macdonald, possibile nuova reginetta dell’horror al servizio di Sua Maestà accanto a Natalie Mendoza (Moulin Rouge) e Nora Jane Noone (Magdalene). Un horror che rimarrà ben impresso nella vostra mente per molto tempo.

30/09/07

Black Sheep

Titolo Italiano: Black SheepTitolo Originale: Black Sheep
Anno: 2006
Durata: 87 min

Regia: Jonathan King
Sceneggiatura: Jonathan King
Cast: Nathan Meister, Danielle Mason

Sito ufficiale: www.blacksheep-themovie.com
Sito italiano: N/D

Scheda Cinema
Scheda Dvd


Black Sheep è una divertente commedia horror che spazia dai temi ambientalistici a quelli più classici degli zombie movies, in una magnifica cornice neozelandese. Un connubio che fa tornare alla mente le altissime vette toccate da Splatters di Peter Jackson. Un film godibilissimo e sostenuto da un’idea di fondo, quella delle pecore assassine, originale e innovativa.


Inside the movie...

L’assunto di base è che in Nuova Zelanda ci sono più pecore che esseri umani. Ebbene, preso atto di questo, cosa succederebbe se queste pecore si rivoltassero contro i loro padroni? Black Sheep è uno dei film più divertenti che mi sia capitato di vedere negli ultimi anni, è un horror e allo stesso tempo una commedia nera che strappa ben più di una risata. Un esperimento di ingegneria genetica non propriamente riuscito trasforma le pecore in animali rabbiosi e assetati di sangue. Non solo, il loro morso causa nell’uomo tremende mutazioni che trasformano le persone in vere e proprie pecore mannare. Sì, avete capito bene. Pecore mannare. Alla vicenda del contagio contribuisce l’intreccio con le vicissitudini di due ambientalisti che, cercando di liberare gli ovini dal laboratorio in cui si conducono gli esperimenti su di esse, non fanno altro che diffondere la mutazione tra la popolazione del villaggio contiguo.

Gli effetti speciali sono affidati al Weta Workshop di jacksoniana memoria e, a ben vedere, il film stesso ricorda, in molte sue parti, quel piccolo capolavoro orrorifico di Splatters – Gli Schizzacervelli. Il fatto che spesso, vedi il feto ovino assassino o gli umani mutati, gli effetti risultino un po’ naif e grotteschi è semplicemente voluto, per dare un tono ancor più slapstick alle vicende.

I personaggi risultano a volte un po’ macchiettistici: su tutti l'ambientalista un po' sciroccata interpretata da Danielle Mason, Experience, o il crudele Angus Oldfield (Peter Feeney), fratello del protagonista Henry (Nathan Meister). Tutto sommato, però, la caratterizzazione per eccesso fa parte della costruzione della commedia di genere e nulla toglie al divertimento della visione, anzi.

Black Sheep è pertanto un ottimo film, assolutamente non stupido o volgare nel divertimento che crea nello spettatore: visione altamente consigliata!

28/09/07

PESARHORRORFEST IV - Resoconto del Festival


PESARHORRORFEST IV - Resoconto del Festival
Si è conclusa con un ottimo bilancio di presenze l'ultima edizione del PesarHorrorFest, Festival Internazionale di Cinema e letteratura Horror, svoltosi nella deliziosa cittadina di Pesaro dal 21 al 26 Agosto.
Nonostante alcuni problemi logistici causati dalla compresenza di numerosi eventi in città, l'organizzazione dell'evento è stata ineccepibile: un festival non pretenzioso che è riuscito a unire un buon concorso per cortometraggi (di discreto livello pure le proiezioni fuori concorso) ad una interessante retrospettiva sul regista CULT Jorg Buttgereit, oltre alla consolidata sezione "eventi colletterali", dedicata alle dark ladies della letteratura italiana.
Non sono mancate inoltre le anteprime di lungometraggi, quali NyMpha di Ivan Zuccon, La notte eterna del Coniglio, di Valerio Boserman, il controverso Feed di Brett Leonard e Il metodo Orfeo di Filippo Sozzi, che hanno visto la presenza dei registi e degli interpreti principali.
Ma veniamo ai corti: delle oltre 50 opere pervenute la commissione selezionatrice ha scelto 7 film da proiettare durante le serate festivaliere, per il concorso "Il ritorno dei corti viventi"; sette opere molto diverse tra loro; storie di miti, fantasmi o zombies, come quella di “Moebius, chi bussa alla mia porta?”, di Donatello Della Pepa, una trasposizione cinematografica da E.A. Poe, L'Occhio di Angelo e Giuseppe Capasso, perfino un fatto di cronaca riguardante un serial killer inglese, “Liver”, di Federico Greco, ma su tutte ha trionfato guadagnando i consensi del pubblico e della giuria, composta da Chiara Palazzolo (scrittrice), Valerio Boserman (regista), Laura More (attrice), Michele Pastrello (regista vincitore del 2006) e Andrea Bruni (critico), il cortometraggio “Un certain regard” di Mario Tani, vicenda pulp di chiara ispirazione tarantiniana.
Il premio per il miglior soggetto è andato al labirintico “Tunnel”, di Roberto Palma, prodotto dal Laboratorio di Cinema dell’Università di Tor Vergata.
Interessantì le proposte fuori concorso: tra gli 11 corti selezionati spicca senz’altro “La donna della Toilette”, di Alberto Viavattene: un omaggio ai polizieschi italiani anni ’70 dalle atmosfere cupe, che ha già riscosso successi in numerosi Festival Internazionali.
Re indiscusso della manifestazione, Jorg Buttgereit, ha presenziato alle proiezioni e agli incontri, con grande disponibilità.
Questa retrospettiva è stata un'occasione unica per visionare l’opera omnia del cineasta tedesco, consacrato da una delle sue opere più controverse, Nekromantik, torbida storia riguardante la necrofilia, ambientata nella germania degl anni ’80; sono stati proiettati inoltre i cortometraggi che Buttgereit realizzò in età adolescenziale, uno su tutti merita la menzione, la saga di “Captain Berlin”, goffo supereroe, impersonato dallo stesso autore, e J.B.’s Horror Heaven, una sorta di CreepShow, dove vengono presentati, sotto forma di parodia, i mostri più celebri del cinema di genere.
I temi principali dei suoi film, vita e morte, sono affrontati spesso con una sorta di distacco emotivo, altre volte, come accade nei cortometraggi “Hot Love” e “Der Todesking” appaiono come stretti da un legame di estrema necessità, indivisibili.
Buttgereit si è prestato inoltre ad una piacevole conversazione riguardante gli spunti dei suoi film: le componenti autobiografiche, come lui stesso ha dichiarato, riguardano l’aspetto quotidiano della sua Berlino, e quello più underground legato alla sua vita giovanile, ma nessun riferimento autobiografico si trova nei personaggi che presenta nei suoi film, figure anonime, emarginate dalla società.
Ci ha inoltre rivelato che sta lavorando ad un progetto internazionale che vede coinvolti vari artisti, per la realizzazione di un documentario di oltre 60 minuti: una serie di spezzoni realizzati da diversi registi con la collaborazione di altrettanti attori e celebri artisti, tra cui la nostra Asia Argento, con la quale ha girato un episodio a New York.

27/09/07

OLD SCHOOL AMERICAN HORROR, AND PROUD OF IT!

Hatchet

Hatchet
innanzitutto posso dire che non è niente di nuovo sul fronte "trama" degli slasher movie, classica storia di un gruppo di persone sperduti nella palude con un pazzo omicida deforme che li insegue
dry.gif , le differenze sostanziali con gli altri film di questo genere sono sporatutto nelle scene forti durante i vari massacri, diciamo che il regista e gli sceneggiatori non si sono dati un limite!! è l'eccesso dello splatter gore in piena regola (mai visto tanto sangue uscire da una persona blink.gif ) tra persone aperte letteralmente in 2 da un accetta o sezionandole solo con l'uso della forza delle braccia ce n'è per tutti!!

nelle varie recensioni che ho letto su internet si narra la leggenda che i produttori durante la prima visione interna del film durante la post-produzione abbiano vomivata per il livello di gore nel film , posso dire che pure io in una determinata sequenza ho avuto un po' di malessere ph34r.gif e che ne ho visti in vita mia di horror

Non aspettatevi tensione, scene magistrali, rivoluzioni, sottotesti socio-politici e capolavori vari ma se siete in cerca di una sana boccata d’aria, di uno spassoso ritorno al passato e della mattanza gore dell’anno, Hatchet è il titolo che fa per voi!

OLD SCHOOL AMERICAN HORROR, AND PROUD OF IT